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Associazione “ Biblioteca
delle Donne di Soverato”
Incontro
in Biblioteca con Cristina Ali Farah autrice del libro “MADRE
PICCOLA”
28/04/2008
Introduzione a
cura di Lilly Rosso
Care
amiche,
incontriamo
Cristina Ali Farah al suo primo romanzo e, per quel che ho letto di
lei e ciò che scrive, oggi ci viene data l’opportunità di
conoscere non solo una nuova sintassi linguistica segnata dal ritmo
della lingua somala, ma un’altra sintassi dell’essere al mondo.
Cristina
è nata a Verona nel 1973 da padre somalo e madre italiana. E’
vissuta a Mogadiscio dal 1976 al 1991 quando è stata costretta a
fuggire, con il suo primo figlio, a causa della guerra civile. Dal
1996 vive stabilmente a Roma dove si è laureata in Lettere e dove
sono nati gli altri suoi due figli. E’ tra le fondatrici della
rivista di letteratura della migrazione El-Ghibli, collabora con
numerosi periodici e
testate ed è presidente dell’associazione Migranews. Ha pubblicato
racconti e poesie in diverse antologie e nel 2006 ha vinto il
Concorso Letterario Nazionale Lingua Madre.
Sono
riuscita a contattarla grazie alla mediazione di Maria Rosa
Cutrufelli, molto vicina da sempre alle donne della Biblioteca e di
questo la ringrazio.
Con
Cristina riprendiamo il progetto “Scrittrici in Biblioteca”che ha
per tutte noi una valenza altissima perché scrivere aiuta a
pensare, a svelare il segreto e comunicarlo, magari proprio quello
che non si può dire a voce perché è troppo vero, quello che di
solito ci mette in crisi e perciò preferiamo ignorare.
Nello
specifico la scrittura rappresenta un’esperienza forte e dolorosa e
le dà parola pubblica: già questo è un fatto di libertà.
Libertà
non riducibile solo ai diritti e neppure all’uguaglianza e alle
pari opportunità ma è quel punto di vista femminile sul mondo,
quella originalità di essere donna che dà al vissuto individuale lo
spessore della storia perché solo attraverso il coraggio della
memoria si entra nel circuito più ampio del mondo e si ricerca una
dimensione umana e politica che si nutre di speranza e di un
“razionalismo del cuore”, nonostante i fondamentalismi e le
guerre.
Ho
scoperto un modo di dire proprio della cultura orale somala: “aprire
il sogno” e metaforicamente ci ho provato con le tue narrazioni,
cara Cristina, lasciandomi attraversare dalle voci dei tanti
personaggi che, pur non avendo volto per noi, ci trasmettono
corporeità, desideri, paure.
Ho
capito che niente è ciò che sembra e che a volte dobbiamo uscire
dal visibile per concepire le questioni dei popoli in modo più vero
per evitare che la nostra immaginazione resti imprigionata nel
pregiudizio.
Nessuna
di noi può eliminare la sofferenza ma ognuna può decidere di
abitarla diversamente, per esempio partendo dalla consapevolezza di
quella sofferenza e proiettando lo sguardo verso il “fuori”,
andando incontro all’altro/a con la coscienza del proprio essere.
Possiamo
farlo riconoscendo come autentiche le parole che nascono dall’unione
di più lingue, dai linguaggi contaminati e meticciati, quelli che,
come ricorda Christiana de Caldas Brito, approdata negli anni ’60
dal Brasile in Italia, “portano con sé i tempi e i ritmi degli
attraversamenti di territori e alfabeti, che permettono di
trasformare il dolore, così da uscire dal silenzio e dalla propria
incomunicabilità”.
Grazie,
Cristina, per il contributo che dai a un cammino di conoscenza
orientato sugli spazi di intersezione tra le culture, non irrigidito
tra le linee che ne demarcano i confini.
Un
grazie a Fulvia Geracioti, socia fondatrice della BDS e autorevole
presenza del gruppo Letteratura che introdurrà il testo e darà i
riferimenti necessari per chi non lo ha ancora letto .
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